"Ho
mantenuto acceso con l’inesprimibile
quanto
di me non si è arreso all’evidenza,
anche
se non so se a lui arrivi o da lui venga
qualcosa
che non ci tenga con le mani in mano
a
guardare lo strano desiderarsi della vita.
Ma
non ho atteso che il lontano troppo
si
appressasse per riconoscere nell’occhio
il
germoglio e il fiorire dell’oblio,
la
lontananza che non vuol morire
in
se stessa, nell’oscuro barbaglio
della
sua identità.
La
furia delle Arpie ha sopportato
purché
gli inni sgorgassero al banchetto
puri
nell’imperfetto aderire
di
ogni conoscenza al suo contrario.
Io
non posso né voglio, nel divario,
fare
senza quello che non so, non
amare
ciò che l’amore nasconde.
Per
il mare non è facile, nella sua torbida trasparenza,
trovare
la sua sponte, ma nemmeno
lasciarle
senza lo sciacquo delle onde,
l’occulto
scintillio del suo vagare
della
propria parvenza a una sostanza
che
esso non riesce a sostanziare.
Io
non so amarti che nel pericolo
del
disamore, ma più forte amarti
nell’afrore
dei tuoi arti che tremano,
cercandoti
più a fondo nel dolore
che
unisce ogni mancanza alla pienezza.
La
carezza allora scende a lenire
il
tuo viso invisibile che non conosci
che
nel calore che la palma misericorde
della
mia mano spande su quell’ignoto sorriso.
Ancora
chiuso nell’uovo del suo mistero
è
l’enigma di ogni creatura
che
l’amore feconda... "